venerdì 22 giugno 2007

Buone Vacanze


Visto che dal 19 Giugno sono ufficialmente in vacanze, avrò poco tempo per collegarmi ad internet, quindi scusate se anche i miei post diminuiranno, so che vi mancherò tantissimo, ma farò di tutto per essere il più presente possibile...aspetta un attimo...ma con chi sto parlando...? Mah...vabé...comunque BUONE VACANZE A TUTTI!

sabato 9 giugno 2007

Venezia, la luna e tu


Il romano Alberto Sordi interpreta stavolta un gondoliere veneziano, Bepi, innamorato di Nina (Marisa Allasio) ma costantemente in cerca di scappatelle con le turiste che porta per i canali della bella città veneta. Bepi litiga continuamente con Nina a causa delle ragazze che lo circondano durante il "servizio" giornaliero che svolge per la pensione "Amore" - nome che è tutto un programma. I guai maggiori però arrivano dall'america e a portarli sono due belle ragazze in vacanze a Venezia che salgono sulla gondola del più bel gondoliere di Venezia per una pura coincidenza - Bepi infatti scambia le loro valige per quelle di due vecchie che voleva caricare sulla gondola per non far insospettire Nina. Nonostante una delle due abbia un libro che spieghi come tenere a bada i don giovanni italiani, entrambe vengono corteggiate dal gondoliere e s'innamorano perdutamente di lui, tanto da decidere, l'una all'oscuro dell'altra, di non lasciare più Venezia per cercare di sposarlo. Lui però non può sposare nessuna delle due perché la donna con la quale desidera condividere la sua vita è Nina che, per lo più, lo minaccia continuamente di sposarsi con Toni (Nino Manfredi), "un ragazzo serio, posato, bono, anca tropo", uno insomma con il quale può stare sicura di essere tradita. Toni fa di tutto per screditare Bepi agli occhi di Nina e della sua famiglia. E, per essere sinceri, anche Bepi fa di tutto, anche se involontariamente, per allontanare Nina da se. Corteggia le due americane, prende uno schiaffone ma non si arrende, le conquista tutte e due e poi se ne deve liberare con due stratagemmi divertentissimi. Alla prima fa credere di essere tornato a fare il sacerdote - indossando le vesti di suo amico Don Fulgenzio (Riccardo Garrone) - e all'altra invece la fa salire sul treno dicendole che l'avrebbe accompagnata in america per sposarsi ed invece, alla fermata di Mestre scende per correre a fermare l'ennesimo matrimonio tra Nina e Toni - che stavolta sembra davvero si debba concludere. Arriva in ritardo in chiesa, ma né Nina né Toni hanno trovato la forza per unirsi in un matrimonio che sarebbe stato una montatura. Bepi e Nina perciò tornano a stare insieme, con la promessa, fatta sulla gondola del loro matrimonio, di non farsi crescere più i capelli per non essere più vanitoso, di non fare più il gondoliere e di stare sempre vicino a lei, giorno e notte. Il film invece si conclude con il solito Bepi con i capelli impeccabili, il remo in mano, due bellissime turiste a bordo della sua gondola mentre intona "Te voglio ben, te voglio tanto ben, ma quanto quanto? Tanto tanto..."

Alberto Sordi nelle vesti di un gondoliere è quantomeno bizzarro, l'accento è un pò sporcato da alcune ricorrenti espressioni romanesche tipo "E tu chi sei? Che voi?" oppure "Evvattene va'", "So' matto de te" o ancora "Ah ah ma sempre a finestra? E mettete a sede". Solitamente le espressioni in romaneso escono fuori nei momenti di maggiore comicità o di particolare concitazione. Sordi è geniale, come sempre, con i suoi schiaffetti, con la mordente comicità che colpisce chiunque. Manfredi invece è più pacato, ma ugualmente esilarante nella sua figura del terzo incomodo che cerca di frapporsi fra Bepi e Nina, anche confidando nei messaggi che il piccione viaggiatore gli porta ogni volta che i due fidanzatini litigano. E' geniale la trovata di fargli venire il singhiozzo ogni volta che si emoziona. Com'è geniale anche la pacata cattiveria di Toni quando cerca di calugnare Bepi per renderlo ancora più odiato agli occhi della famiglia di Nina. Lo accusa di non essere cresimato, di mangiarsi i gatti, di volersi portare il nonno in casa una volta sposato, di non aver fatto la comunione a pasqua, di avere addirittura il nonno mezzo infedele o maomettano. A proposito, il nonno. Figura marginale ma di grande comicità, specialmente quando si infervora le notti di luna piena al pensiero delle americane.

Molto interessante è la parte in cui Manfredi parla con la famiglia di Nina e, dopo che quest'ultima afferma, con lui davanti, di non volerlo sposare perchè non le piace, confessa di avere comprato addirittura la ghiacciaia da 180 Litri per metterla nella loro futura casa. Appena parla della ghiacciaia il padre di Nina salta dalla poltrona e la esorta ancora una volta a sposarlo. Questo è un fatto cingolare, ricordiamo che il film è del 1958, siamo in pieno boom economico, dall'America stanno arrivando gli elettrodomestici e la ghiacciaia rappresentava per il tempo un oggetto raro e molto ambito. In una sequenza sucessiva infatti ci vede nina che, a sorpresa, va a fare visita a Toni che, fattala entrare in casa, scopre lentamente la ghiacciaia sollevando un telo che la copriva, come per volerle fare una sorpresa mostrandole qualcosa dall'inestimabile valore, infatti, mentre Nina gli dice che lo vuole sposare, lui, prima di iniziare a singhizziore, dice sorridendo "180 Litri, bello eh?" e non ascolta neanche quello che Elena gli sta proponendo, probabilmente le parole che avrebbe voluto sentirsi dire già da tempo e che aspettava con ansia.

Il film è sicuramente esilarante, la trama ingrovigliata per bene e gli attori...beh...che dire...stiamo parlando di Alberto Sordi, Nino Manfredi e Marisa Allasio...sicuramente da vedere.

Il vedovo


Il film si apre con Alberto Nardi (Alberto Sordi) che racconta al Marchese Stucchi (Livio Lorenzon) - suo fidato braccio destro, suo capitano durante la guerra - del sogno che ha fatto, come sempre a colori, nel quale camminava dietro il carro funebre al funerale di sua moglie Elvira. Quest'ultima infatti tratta sempre male Alberto, lo chiama cretinetti e lo definisce stupido e incapace nel mondo degli affari, tanto che, in soli cinque anni, gli ha fatto perdere quasi cento milioni in investimenti sbagliati tra la sua azienda di ascensori e il tentativo, ovviamente fallito, di speculare sulla vendita della benzina nel momento in cui il canale di suez sembrava dovesse restare chiuso. Va in fumo anche il tentativo di far firmare alla moglie, per semplice formalità, una carta datagli dalla banca per un prestito di 30milioni. I dipendenti della ditta di ascensori si lamentano perché non ricevono da tempo la busta paga, Alberto ha cambiali da pagare arretrate e rischia un giorno si e l'altro pure la confisca dei beni presenti nell'azienda. Parallelamente alla vita coniugale deprimente condotta insieme ad Elvira, Alberto porta avanti una relazione platonica con Gioia (Leonora Ruffo), ragazza dal bell'aspetto che crede fermamente nell'intelligenza di Alberto e nel suo futuro da grande industriale. Al momento però Alberto sbaglia tutti gli investimenti, tratta male il Marchese Stucchi rimproverandolo continuamente - si sa comunque che "tutti gli uomini geniali hanno le loro estrosità" - e spera, questo non glielo può negare nessuno, nella morte della sua signora per ereditare i suoi averi, pagare i debiti ed investire tutto in ascensori. Un giorno sembra che il sogno si sia finalmente avverato. Appresa la "brutta" notizia che il treno nel quale la moglie stava viaggiando è deragliato, il marchese non riesce a piangere e corre subito sul posto della tragedia per sincerarsi delle condizioni della moglie. Sembra proprio che di Elvira non ci siano più tracce, perciò viene organizzata la cerimonia mortuaria con grande buffet proprio a casa della signora. Proprio quando sembrava che ormai tutto fosse passato nelle mani di Alberto la signora si rifà viva affermando di essere andata in Svizzera dalla madre con la macchina e non con il treno perché una telefonata del Marchese gliel'aveva fatto perdere. Tutti sono felici, tutti tranne uno: Alberto, che finalmente riesce a piangere. Non potendosi più affidare alla sorte, il commendatore Nardi decide di pianificare l'uccisione della moglie per ereditare il suo patrimonio. Si tratta di un affare da un miliardo. Il piano viene studiato nei minimi particolari, con tanto di alibi e mano, stavolta non della provvidenza ma del Marchese, che deve intervenire con una spintarella per far cadere Elvira giù dal diciannovesimo piano della sua palazzina. Ovviamente anche stavolta le cose non vanno per il verso giusto, il Marchese deve agire al buoi per non farsi riconoscere e spingere la persona che si trova davanti all'ingresso dell'ascensore vuoto. Posso solo dirvi che la persona spinta dal Marchese non sarà Elvira e che le utlime parole di ALberto, riportate dal Marchese il giorno del suo funerale saranno "Che fa marchese? Spinge?".

La trama della storia è molto simpatica. Il ruolo giocato da Alberto Sordi non sarebbe forse così esilarante se al suo fianco non ci fossero i fidi collaboratori: il Marchese Stucchi, lo zio e l'ingegnere tedesco Fritzmayer. Ognuno di loro ha caratteristiche geniali, L'ingegnere è felice delle disgrazie che accadono perché gli fanno capire dove sbaglia nella costruzione degli ascensori, non può tornare in Germania perché è indagato per violenze nei confronti di una bambina di dodici anni e parla con un accento tedesco caratteristico solo di quel personaggio. Lo zio ha investito settecentomila lire nell'azienda ed è quindi azionista, però si limita a guidare la macchina del commendatore Nardi, una semplice seicento. L'aspetto forse più simpatico del personaggio, oltre ad essere la sua parlata romanesca, è sicuramente l'ostilità nei confronti dell'autista della signora Elvira che invece guida una Flaminia (la stessa macchina che nel "Sorpasso" Gassman dice di aver visto al regista Antonioni). Il Marchese è forse uno dei personaggi più interessanti e comici di tutto il film perché, nonostante il titolo nobiliare e il ruolo ricoperto in periodo di guerra, si ritrova a fare da fattorino per Alberto Nardi e ad essere continuamente ripreso e sgridato. Sono stupende le frasi in cui cerca di ricordare al commendatore che anche lui ha una dignità. Il portamento signorile lo rende ancora più ridicolo perché continuamente vittima di rimproveri umilianti.

La signora Elvira definisce il marito Alberto un megalomane, ovvero "uno che si crede superiore a tutti, invece è un cretino, ridicolo, che si circonda di incapaci per sentirsi superiore". La descrizione calza a pennello ed effettivamente, le persone che circondano Nardi in questo folle "progetto Elvira", lo reputano intelligente e capace, nonostante le continue dimostrazioni di incapacità a livello manageriale e di ignoranza.

Il film in definitiva è molto gradevole, i personaggi geniali e la sceneggiatura esilarante. Un'altra prova della pungente ed irriverente comicità di dino risi, che in questo film passa principalmente attraverso il personaggio di Alberto Sordi.

venerdì 8 giugno 2007

Una vita difficile


Questa non è la storia di un uomo sfortunato, ma di un uomo che non ha cercato la fortuna. Di un ex-partigiano, alfabetizzato ma non ancora laureato. Giornalista della resistenza, impegnato in campo politico che scrive per una testata giornalistica di ristrette condizioni economiche. Vivo solo grazie ad una "montanara" che lo salva con un ferro da stiro dalla sicura processione ad opera di un soldato tedesco e della quale s'innamora e con la quale passa tre mesi "bloccato" in un fienile che apparteneva al nonno. Una vita difficile quella che i due passano. Prima separati, perché Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) scappa nella notte dal fienile abbandonando Elena (Lea Massari) per tornare a combattere con i suoi partigiani, e poi da sposati, quando Magnozzi torna al paese di Elena per un servizio giornalistico e i due decidono, anche se non proprio all'unisono, di andare a vivere insieme a Roma. Non è proprio come Elena se l'aspettava la vita di Silvio, fatta di stenti, di digiuni, scarpe bucate e appartamento senza cucina perché "io ho sempre mangiato in trattoria". Ed è proprio dalla trattoria che la coppia viene cacciata perché non possono permettersi di pagare il pranzo. E' grazie a questa fatalità che i due fanno un incontro un pò particolare con il Marchese Capperoni, insieme al quale andranno a mangiare a casa della nobile famiglia dei Rustichelli perchè erano in tredici e "tredici non va di essere a tavola". Questa è probabilmente una delle scene più divertenti del film, dove si vede il contrasto tra la nobiltà, lo sfarzo, l'abbondanza, la monarchia e la fame, la povertà, il digiuno, la repubblica. Già, monarchia e repubblica, i due grandi poteri che si sfidano nel referendum dal quale esce vincente la repubblica. E' singolare la scena in cui Silvio ed Elena brindano da soli alla vittoria della democrazia con in sottofondo l'inno di Mameli. Ma la loro vita sarà tutt'altro che facile da questo momento in poi. Magnozzi intende scrivere, in un articolo di giornale, i nomi degli industriali corrotti che hanno fatto sparire miliardi di lire. Rifiuta ad un tentativo di corruzione da parte di uno di questi industriali in nome di quei principi e di quei valori per i quali aveva rischiato la vita da partigiano e per i quali verrà condannato ad un anno di galera con l'accusa di diffamazione per la pubblicazione, il giorno sucessivo, dell'articolo in questione. Come se non bastasse, subito dopo aver sposato Elena in municipio, apprende la notizia dell'uccisione di Togliatti e, fattosi trasportare dalla folla che incitava alla rivoluzione, si butta nuovamente nei pasticci e va incontro ad una nuova condanna che si somma a quella precedente e lo costringe, stavolta si, a finire in prigione per due anni. In questo periodo Elena torna al paese diventando vittima di pettegolezzi e di giudizi da parte di tutti i paesani. Nasce suo figlio, Paolo, come il nonno di Elena proprietario del fienile nel quale avevano passato quei tre mesi indimenticabili. Quando esce di galera cerca, sotto la pressione della moglie e della suocera, di laurearsi per poter andare a lavorare nel paese d'origine di Elena per poter così dare una sicurezza finanziaria a lei e a loro figlio. Non riesce però a laurearsi, scappa (ancora), si ubriaca, perde la moglie che torna al paese (ancora). Passano gli anni (due per l'esattwezza) e finalmente è riuscito a (ri)scrivere il suo romanzo, quello che aveva in testa da tanto tempo, che in parte aveva già scritto ma che la moglie gli aveva bruciato perché non lo avrebbe portato da nessuna parte. Un romanzo dove "ci sono dieci anni della mia vita", un romanzo impegnato, di critica, di accusa, di condanna, insomma, un romanzo che nessuno vuole pubblicare. Prova col cinema allora, dove comunque non riscuote successo. ma questa esperienza gli serve per incontrare nuovamente il Marchese Capperoni, stavolta nelle vesti di San Matteo, comparsa di cinecittà perché è morto il padre e lui si trova in ristrettezze economiche (strana la vita). Sarà proprio lui a dirgli che Elena si trova a Viareggio e a dargli venticinquemila lire per raggiungerla. E' qui a Viareggio che incontriamo le canzonette estive, le spyder, e le vacanze balneari dell'Italia del boom economico. C'è però una certa malinconia ina questo caso, dovuta probabilmente alla continua ubriachezza di Silvio e dell'impossibilità di riuscire ad avvicinare Elena che lo fugge continuamente, come se avesse la lebbra. Silvio riesce però a stare un pò con suo figlio Paolino e a spiegargli perché, oggi, non è un bambino ricco, milionario, ma alla fin fine, ripensando a come sarebbero potute andare le cose, non sembra più tanto convinto neanche lui della scelte che fece anni a dietro. L'ennesimo rifiuto da parte della moglie Elena lo porta, alcuni anni dopo, a presentarsi al funerale della suocera con una grossa spyder bianca, vestito elegante nero, così come lei lo avrebbe voluto arrivare in paese per prendere sua figlia. Silvio ha cambiato mentalità, ora ha fatto i soldi, può permettersi di riportare con sé Elena a Roma ed offrirgli una vita da molti considerata dignitosa. Solo in seguito capiamo che il suo lavoro non è fare il giornalista, ma fare il magiordomo - sotto la mentita carica di assistente - dell'industriale che un tempo gli offrì terreni, macchine, milioni. Silvio conduce una vita fatta di inchini, teste basse, rimproveri continui ed umiliazioni. Solo alla fine, la moglie, resasi conto della situazione nella quale Silvio si era ridotto, annullando i suoi ideali e se stesso, solo per riuscire a riavere con se la donna che si era reso conto di amare più della politica e del suo impegno morale nei confronti del paese che aveva aiutato a liberare dai nazisti. In seguito all'ennesima umiliazione subita da parte del commendatore, Silvio reagisce scaraventandolo in piscina ed abbandonando la villa per tornare, a piedi, alla sua umile dimora.

Vorrei iniziare proprio a parlare della macchina, grande protagonista dei film di Risi (Il sorpasso ne è un esempio) ma anche simbolo dell'Italia del boom economico. Qui la vediamo come simbolo della ricchezza, in alcuni casi simbolo di corruzione. Spesso Silvio rifiuta passaggi in macchina per prendere una boccata d'aria fresca e fare due passi, quasi volesse riproporre ogni volta la lotta tra valori e ricchezza, esplicitata nella scena con l'industriale che cerca di corromperlo.

Il film non è solo bello, è avvolgente, comi-tragico, fotografia di una società rivolta all'apparire, amorale e fortemente criticata dal regista che ne sottolinea la negatività, la superficialità e l'instabilità (basti pensare al Marchese che si ritrova a fare da comparsa a cinecittà mangiando pollo con pepeorni preconfezionati dalla produzione). Lea Massari è bellissima, Sordi eccelso come sempre. Da rilevare anche una piccolissima parte di Vittorio Gassman che interpreta se stesso. Piccola ma interessante, perché un giornalista gli chiede "Qual'è il suo pensiero sulla crisi del cinema" e lui risponde "La crisi del cinema è crisi di idee, non ci sono più idee, non ci sono più scrittori". Questa frase potrebbe essere tranquillamente riportata ai giorni d'oggi per descrivere la situazione attuale del cinema italiano.